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L’AVVOCATO NON PUO’ CONSIGLIARE DI AGGIRARE LA LEGGE-Elena Ioghà, avvocato-Diritto e processo.it

 

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(Estratto da Diritto e Processo formazione n. 3/2011)

 

 

QUESTIO IURIS

I. Con il provvedimento che si annota, i Giudici di legittimità chiariscono il quesito sottoposto al Supremo Collegio che consiste nell’eventuale sussistenza della responsabilità professionale del difensore che omette di consigliare al cliente una strategia difensiva (id est: “gli escamotage professionali”) che gli consentisse di aggirare le prescrizioni di legge.

Il caso di specie trae origine dalla proposizione di un un decreto ingiuntivo emesso nei confronti degli assistiti e avente per oggetto il pagamento del compenso  per attività professionali per lo svolgimento di pratiche relative alla successione mortis causa.

Gli assistiti opponenti si dolevano dal fatto che il difensore aveva omesso di presentare agli stessi, seppur all’epoca dell’incarico mancasse buona parte della documentazione e in prossimità della scadenza del termine (sei mesi), una dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario che avrebbe certamente prorogato il termine finale per la presentazione della denuncia di successione di altri sei mesi, decorrenti dalla scadenza del termine per la presentazione del beneficio dell’inventario.

Il Giudice di primo grado del Tribunale di Bologna, accogliendo la tesi degli eredi, revocava il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti dal legale condannando quest’ultimo anche al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata tempestiva presentazione della dichiarazione di successione.

Il Giudice di seconde cure della Corte d’appello di Bologna riformava, invece, la decisione di primo grado e confermava il provvedimento monitorio respingendo la domanda di risarcimento dei danni proposta dagli opponenti atteso che in capo al professionista non sussisteva alcuna responsabilità professionale, in quanto tra i doveri dell’avvocato non è compreso quello di aggirare le prescrizioni di legge.

Per il Giudice di seconde cure aggirare la legge, nel caso accettazione di eredità con beneficio dell’inventario, non consiste nella possibilità di eludere il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione di successione, ma consiste nel mantenere distinti i patrimoni del de cuius e dell’erede per evitare la responsabilità ultra vires trattandosi di una deviazione dell'atto dal suo scopo precipuo .

L’orientamento giurisprudenziale della Corte d’appello di Bologna è stato da ultimo fatto prorio dalla Suprema Corte che, con l’ordinanza che si annota, ha escluso la sussistenza della responsabilità professionale in capo al difensore incaricato alla presentazione nei termini dei sei mesi della dechiarazione di successione con beneficio di inventario al solo fine di prorogare il termine finale per la presentazione  della denuncia di successione per altri sei mesi.

II. Occorre sottolineare, in genarale, in quale responsabilità professionale incorre il professionista che omette di compiere un atto o di presentare un’istanza nei termini di legge.

Si ritiene che l’avvocato, in forza della procura alle liti sottoscritta dal cliente assume la qualità di difensore e instaura con il proprio assistito un rapporto fiduciario che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale (art. 2230 c.c.) (Sagna, La responsabilità dell’avvocato, in www.diritto.it, § 1; D'Apollo, Responsabilità dell’avvocato, Brevi note sull’inadempimento del professionista e l’onere probatorio in www.altalex.it, §1 ).

L’avvocato, difatti, risponde dei danni cagionati al suo assistito quando viola i doveri che rientrano nell’esercizio della sua attività professionale ed, in particolare, del dovere di diligenza come sancito dall’art. 8 Codice deontologico forense.

La diligenza richiesta nell’esercizio dell’attività professionale è quella del buon padre di famiglia disciplinata nell’art. 1176 comma 2, c.c., la quale deve essere commisurata alla natura dell'attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, cioè la diligenza posta nell'esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità del professionista è attenuta configurandosi, secondo l'espresso disposto dell'art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave. c.c. (Cass. 14-08-1997 n. 7618; Cass. 6-02- 1998 n. 1286; Cass. 8-08-2000 n. 10431).

La Suprema Corte stabilisce che si ha responsabilità del difensore “in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nei casi in cui per negligenza ed imperizia, comprometta il buon esito del giudizio, dovendosi invece ritenere esclusa la detta responsabilità, a meno di dolo o colpa grave, solo nel caso di interpretazioni di legge o di risoluzione di questioni opinabili”. (Cass. 18-11-96, n. 10068).

L’avvocato, tuttavia, nell’esercizio delle sue funzioni non ha un’obbligazione di risultato, ma di mezzi.

La girisprudenza di legittimità sul punto ritiene che le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista assumendo l'incarico si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo. Ne deriva che l'inadempimento del professionista non può essere desunto senz'altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell'attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza (Cass. 8-08-2000 n. 10431).

E’ principio consolidato in giurisprudenza di legittimità che l'inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell'attività esercitata, ragion per cui l'affermazione della sua responsabilità implica l'indagine - positivamente svolta sulla scorta degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di fornire - circa il sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente medesimo (Cass. sez. II, 11.8.2005, sent. n. 16846, Cass. 26 febbraio 2002, n. 2836; Cass., 29 settembre 2009 n. 20828).

Alla luce delle suesposte argomentazioni ed, in particolare, dell’orientamento giurisprudenziale sul punto pare doversi condividere l’orientamento espresso della Suprema Corte con l’ordinanza n. 4422/2011 secondo cui non rientra tra i doveri del difensore e, a parere di chi scrive, nel dovere di diligenza professionale, quello di aggirare le prescrizioni di legge omettendo di consigliare al cliente di adottare degli “escamotage” al fine di benificiare della proroga dei termini previsti dalla legge trattandosi di una deviazione dell'atto dal suo scopo precipuo.

 

La SOLUZIONE di Cassazione, sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 4422

Secondo la Cassazione, Sez. III, 2 novembre 2010 non avendo il cessionario mai prodotto in giudizio la La Suprema Corte, con l’ordinanza del 23 febbraio 2011, n. 4422 ha statuito che:

1.       Tra i doveri del professionista non è compreso quello di aggirare le prescrizioni di legge deviandole dallo scopo loro proprio (che per l’accettazione di eredità con beneficio di inventario non è eludere il termine stabilito per la prsentazione della dichiarazione di successione, bensi mantenere distinti i patrimoni del de cuius e dell’erede, per evitare la responsabilità ultra vires).

2.       Non è fonte di responsabilità professionale, pertanto, per il legale che sia stato incaricato della presentazione di una dichiarazione di successione in prossimità della scadenza del relativo termine e in mancanza della documentazione necessaria per il tempestivo adempimento della prestazione, omettere di consigliare il cliente di accettare l’eredità con beneficio di inventario, in modo da farlo beneficiare della proroga prevista per tale ipotesi dalla legge, trattandosi di una deviazione dell’atto dal suo scopo precipuo

L'AVVOCATO NON CONSIGLIA UN ESCAMOTAGE LEGALE: VI È RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE?

Cassazione, sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 4422

 

Non è fonte di responsabilità professionale, per il legale che sia stato incaricato della presentazione di una dichiarazione di successione in prossimità della scadenza del relativo termine e in mancanza della documentazione necessaria per il tempestivo adempimento della prestazione, omettere di consigliare il cliente di accettare l'eredità con beneficio di inventario, in modo da farlo beneficiare della proroga prevista per tale ipotesi dalla legge, trattandosi di una deviazione dell'atto dal suo scopo precipuo.

 

 

Cassazione, sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 4422

(Pres. Settimj – Rel. Bucciante)

 

 

La Corte:

Ritenuto in fatto e diritto

- la relazione redatta ai sensi del primo comma dell'art. 380 bis c.p.c. è del seguente tenore:

“Con sentenza del 1 febbraio 2005 il Tribunale di Bologna revocò il decreto ingiuntivo emesso nei confronti di L..B.      , P..B.              e R..Q.          , avente per oggetto il pagamento del compenso reclamato dall'avvocato S..M.         per attività professionali, consistite nello svolgimento di pratiche relative alla successione mortis causa di Lu..Bo.     ; condannò inoltre la professionista al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata tempestiva presentazione della dichiarazione di successione.

Impugnata da una parte e dall'altra, la decisione è stata riformata dalla Corte d'appello di Bologna, che con sentenza del 6 ottobre 2009 ha confermato il provvedimento monitorio e respinto la domanda di risarcimento proposta dagli opponenti.

R..Q.           , P..B.              e L..B.       hanno chiesto la cassazione di tale sentenza, per tre motivi. M.S. si è costituita con controricorso.

La resistente ha contestato l'ammissibilità del ricorso, osservando che non contiene la formulazione di quesiti di diritto né la menzione delle norme in ipotesi non correttamente applicate dal giudice a quo.

L'eccezione non appare accoglibile, sotto entrambi i profili in cui è articolata, in quanto: il primo dei requisiti suddetti non è richiesto per le sentenze pubblicate, come nella specie, dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, il cui art. 41 ha abrogato l'art. 366 bis c.p.c.; le disposizioni di cui viene prospettata la violazione sono puntualmente indicate nell'intestazione e nel contesto dei motivi di impugnazione con i quali tale vizio, insieme con carenze di motivazione, è denunciato dai ricorrenti.

Con i primi due di tali motivi Q.R.           , B.P.              e L..B.       lamentano che la Corte d'appello ha erroneamente disconosciuto la sussistenza della responsabilità professionale dell’avvocato S..M.        , che a loro dire è resa palese da questa circostanza: "seppure all’epoca dell'incarico mancasse buona parte della documentazione, e in prossimità della scadenza dei 6 mesi per la presentazione della denuncia di successione, omise di far presentare agli eredi, entro detto termine, una dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario che, ai sensi dell'art. 31 lett. d) Dlg. 31.10.1990 n. 346 ante novella, avrebbe procrastinato il termine finale per la presentazione della denuncia di successione di altri 6 mesi, decorrenti dalla scadenza del termine per la presentazione del beneficio di inventario".

La censura risulta manifestamente infondata, dovendosi escludere, come in sostanza ha osservato il giudice di secondo grado, che tra i doveri di un professionista sia compreso quello di "aggirare" le prescrizioni di legge, deviandole dallo scopo loro proprio (che per l’accettazione di eredità con beneficio di inventario non è eludere il termine stabilito per la presentazione della dichiarazione di successione, bensì mantenere distinti i patrimoni del de cuius e dell'erede, per evitare la responsabilità ultra vires).

La rilevata infondatezza dei primi due motivi di ricorso rende superfluo l’esame del terzo, che attiene a un'ulteriore ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata: la validità della clausola con cui l'avvocato S..M.         era stata esonerata "da qualunque responsabilità per eventuali ritardi, proprio perché i termini di legge per la registrazione sono prossimi alla scadenza”.

Appare quindi possibile definire il giudizio ai sensi dell'art. 375, n. 5, seconda ipotesi, c.p.c..

- i ricorrenti hanno depositato una memoria; sono comparsi in camera di consiglio il difensore della resistente e il pubblico ministero;

- il collegio concorda con le argomentazioni svolte nella relazione e le fa proprie, rilevando che non sono efficacemente contrastate dalle obiezioni formulate nella memoria depositata: non è in discussione la liceità, sulla quale i ricorrenti insistono, dell'accettazione di eredità con beneficio di inventario, ma la sua utilizzazione per uno scopo (la dilazione del termine per la presentazione della dichiarazione di successione ai fini fiscali) che è diverso da quello suo proprio (il mantenimento della distinzione tra i patrimoni del defunto e dell'erede), sicché il suo conseguimento non può considerarsi compreso tra i compiti del professionista incaricato della presentazione della dichiarazione suddetta;

- il principio da enunciare è dunque: “Non è fonte di responsabilità professionale, per il legale che sia stato incaricato della presentazione di una dichiarazione di successione in prossimità della scadenza del relativo termine e in mancanza della documentazione necessaria per il tempestivo adempimento della prestazione, omettere di consigliare il cliente di accettare l'eredità con beneficio di inventario, in modo da farlo beneficiare della proroga prevista per tale ipotesi dalla legge, trattandosi di una deviazione dell'atto dal suo scopo precipuo”;

- il ricorso deve essere pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti in solido - stante il comune loro interesse nella causa - a rimborsare alla resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare; alla resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 3.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

 

 

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