Un sistema economico
competitivo permette ai consumatori di godere di
grandi benefici: prodotti a prezzi
concorrenziali, maggiore qualità, minore
dipendenza da prodotti di Paesi esteri e,
soprattutto, non europei, prodotti più sicuri
per la sicurezza e la salute, maggiore
responsabilità sociale delle imprese,
retribuzioni del lavoro più alte….in poche
parole consumi maggiori e di migliore qualità.
La competitività non dipende però solo dalle
imprese; tenuto conto che più del 50% del PIL
italiano serve per far funzionare la Pubblica
Amministrazione, il sistema può essere
competitivo solo se anche il sistema pubblico lo
è. Alla luce del processo di decentramento in
atto oggi in Italia, vogliamo capire se esso
possa portare una migliore gestione della Cosa
pubblica, una finanza pubblica più controllata,
efficiente ed efficace, una riduzione degli
sprechi che, secondo i nostri dati, ma anche
quelli delle Autorità preposte, ha raggiunto
livelli inimmaginabili. Uno dei tasselli
fondamentali di questo processo di decentramento
è il c.d. federalismo fiscale.
L’approvazione della legge 42/2009 sul
federalismo fiscale rappresenta oggi la base di
partenza per introdurre rilevanti cambiamenti
nella vita istituzionale ed economica
dell’Italia e delle singole Regioni.
L’attuazione della legge porterà al
coordinamento dei centri di spesa con i centri
di prelievo (con maggiore responsabilità da
parte degli enti nel gestire le risorse), nonché
alla sostituzione del criterio della spesa
storica, basata sulla continuità dei livelli di
spesa raggiunti l’anno precedente, con quello
del costo standard (che finanzia il servizio ma
non l’inefficienza). In sostanza, la maggiore
responsabilizzazione dei governi locali dovuta
ad un più stretto legame tra “cosa tassata e
cosa amministrata” favorisce una migliore
allocazione delle risorse pubbliche, con effetti
benefici di contenimento della spesa
complessiva. Gli Stati federali hanno infatti
costi di funzionamento minori di quelli
registrati dai Paesi unitari.
Il Centro Studi di Unioncamere del Veneto da
anni sta lavorando sul tema del federalismo e
delle sue possibili implicazioni a livello
economico. Dalle analisi svolte emerge come
l’Italia sia il Paese nel quale la pubblica
amministrazione esercita la maggiore
redistribuzione interna delle risorse per
realizzare la coesione nazionale. Il totale
delle risorse che ogni anno in Italia vengono
trasferite dalle regioni più ricche a quelle più
povere (residuo fiscale) ammonta a circa 80
miliardi di euro; a questi si aggiungono i circa
10 miliardi di euro dell’UE (coesione
comunitaria). Nonostante ciò le aree più deboli
non hanno conseguito quella crescita economica
che si è invece realizzata in altre aree
economicamente più arretrate nell’UE. Infatti,
quanto più il residuo fiscale aumenta, tanto più
cresce la povertà nelle regioni meridionali del
Paese e tanto maggiore è il pericolo per le
regioni settentrionali di non poter competere
con le regioni europee economicamente più
avanzate.
Il fattore umano rimane il principale strumento
attraverso il quale la Pubblica amministrazione
persegue le proprie finalità istituzionali. Nel
2008 vi erano 60,6 dipendenti pubblici ogni
mille abitanti in Italia, 57 in Spagna e appena
54,8 in Germania. Mentre in Germania tra il 2000
e il 2008 si è assistito ad un costante calo del
rapporto tra personale pubblico e abitanti, in
Italia tale indicatore è aumentato fino al
biennio 2002-2003 (raggiungendo quota 63,1) per
poi flettere costantemente negli anni
successivi. Nei Paesi analizzati si è registrata
una riduzione dell’incidenza del personale
pubblico sulla popolazione: tuttavia, tale
miglioramento è stato meno sensibile in Italia
(da 61,9 nel 2000 a 60,6 nel 2008) che in Spagna
(da 58,8 a 57,0) e soprattutto in Germania (da
59,7 a 54,8). La situazione italiana, rispetto
ai modelli federali di Spagna e Germania,
conferma la sua particolarità, che sfocia
talvolta nel paradosso: nonostante la riforma
del Titolo V della Costituzione il numero del
personale pubblico centrale tra il 2000 e il
2008 è aumentato del 2,6%, mentre i dipendenti
delle amministrazioni regionali, provinciali e
comunali fanno registrare una flessione del
6,8%.
Stante le prevedibili difficoltà di definire e
quantificare i costi (fabbisogni di spesa)
standard, che potrebbero ritardare l’emanazione
dei decreti attuativi, abbiamo tentato di
determinare un “livello ottimale di spesa”,
tralasciando quindi la definizione dei costi
delle singole prestazioni/servizi. I risultati
raggiunti sono davvero rilevanti: alcune regioni
italiane presentano situazioni in cui la spesa
pubblica è gestita in modo particolarmente
efficiente, anche nel confronto con
Amministrazioni pubbliche di altri Paesi
europei, mentre altre evidenziano parametri di
spesa due o tre volte superiori alla media
nazionale. Se queste ultime adottassero gli
stessi parametri della regione più virtuosa in
base al “livello ottimale di spesa”, potremmo
ottenere da un lato risparmi di spesa pubblica
fino a 28 miliardi di euro l’anno e dall’altro
un elevato aumento della spesa per investimenti
e dei servizi per le famiglie e le imprese.
Nel quadro delle riforme necessarie al nostro
Paese e in aggiunta a quella del federalismo
fiscale, quella del cosiddetto federalismo
“differenziato” (o “asimmetrico”) rappresenta
una grande opportunità e un’innovazione
estremamente importante per le Regioni, che
potrebbe aprire interessanti prospettive sul
piano istituzionale e finanziario. Si tratta di
un percorso in grado di ridurre la distanza
esistente tra l’attuale ventaglio di poteri
delle Regioni ordinarie e l’assetto
istituzionale proprio delle Regioni a statuto
autonomo. Il “federalismo differenziato”
consentirebbe infatti alle Regioni che lo
vogliano di gestire ulteriori competenze, senza
intaccare la solidarietà verso le altre Regioni
che naturalmente continueranno a garantire le
prestazioni “tradizionali”.
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