L'aumento
del tasso di interesse deciso dalla Bce è un
avvertimento a banche e governi: la stampella monetaria
sta per finire. Le banche non potranno più ottenere
prestiti in quantità illimitata dalla Bce. Devono perciò
mettere ordine nei bilanci e raggiungere un livello di
capitalizzazione adeguato per accedere ai mercati
finanziari. I governi devono avviare un aggiustamento
delle finanze pubbliche e ripristinare la sostenibilità
del debito nel lungo periodo. Nel frattempo, la crisi
del debito sovrano di alcuni paesi va gestita con
interventi tempestivi di Efsf e Esm.
L’aumento
dall’1 all’1,25 per cento del tasso d’interesse
da parte della Bce va visto come un segnale ai
governi e ai sistemi bancari europei: la Banca centrale
europea è sempre meno disposta a svolgere un ruolo di
supplenza, garantendo senza limiti la liquidità delle
banche e intervenendo a sostegno degli stati in
difficoltà nel reperire finanziamenti sul mercato.
Avvertimenti verbali ce n’erano già stati, ma ora siamo
passati ai fatti.
LA
STAMPELLA MONETARIA
Facciamo
un passo indietro. Nell’ottobre 2008, all’indomani del
collasso di Lehman Brothers e nel pieno della
tempesta finanziaria, la Bce iniziò una serie di
riduzioni del tasso di policy, portandolo
gradualmente dal 4,25 all’1 per cento, dove è rimasto
fino a giovedì scorso. Allo stesso tempo, modificò il
modo con cui venivano effettuate le operazioni di
politica monetaria. Fino ad allora, queste
avvenivano mettendo all’asta tra le banche un certo
ammontare di prestiti, predefinito ogni settimana dalla
Bce. Ciò garantiva alla Bce il controllo dell’offerta di
“base monetaria” (le riserve detenute dalle banche
presso la banca centrale) e in ultima analisi della
moneta in circolazione nel sistema economico. Governando
l’offerta di base monetaria, la Bce controllava i tassi
d’interesse sul mercato monetario, mantenendoli assai
prossimi al tasso di policy. Dall’ottobre 2008,
per sopperire al malfunzionamento del mercato monetario,
la Bce ha deciso di passare a un’altra modalità di
finanziamento: prestiti a tasso fisso e in
quantità illimitata (le cosiddette operazioni “a
rubinetto”). Da quel momento, la banca centrale ha perso
il controllo della quantità di moneta, che è determinata
dalla domanda di riserve delle banche, in presenza di
un’offerta potenzialmente infinita. Prova ne sia che i
tassi d’interesse del mercato monetario si sono spesso
collocati ben al di sotto di quello di policy.
Ma non è finita. Nel luglio scorso, la Bce ha iniziato
una serie di acquisti di titoli del debito pubblico
di paesi europei “periferici”, quali Grecia, Irlanda,
Portogallo, Spagna posti sotto pressione dai mercati
finanziari per i loro problemi di sostenibilità delle
finanze pubbliche, con la finalità di sostenere il loro
mercato dei titoli. Si è rotto così un “tabù”, cioè il
divieto di finanziamento del Tesoro in base monetaria:
quando acquista un titolo di stato, infatti, la banca
centrale lo paga con una sua passività, la base
monetaria appunto, contribuendo così alla creazione di
altra moneta. Ufficialmente, questi acquisti di titoli
sono “sterilizzati”: la Bce raccoglie depositi dalle
banche in modo da ritirare dal mercato la base
monetaria creata nel momento in cui acquista i titoli
pubblici. Tuttavia, la “sterilizzazione” convince poco,
in presenza di operazioni di politica monetaria con
quantità illimitate: infatti le banche possono prendere
a prestito dalla Bce tutta la liquidità che poi
ri-depositano presso la Bce stessa nelle operazioni di
sterilizzazione. (1) In parole povere: la Bce
presta alle banche con la mano destra i soldi che ritira
con la mano sinistra.
L'INFLAZIONE SI RIACCENDE
La Bce sta
quindi svolgendo da tempo un ruolo di supplenza su due
fronti: banche e governi. Sul primo fronte, supplisce al
cattivo funzionamento del mercato interbancario:
le banche hanno poca fiducia reciproca e sono restie e
prestarsi soldi; preferiscono mantenere una ampia
riserva di liquidità presso la banca centrale. Alcune
banche hanno molta difficoltà a finanziarsi sul mercato
a causa di problemi specifici (esposizione verso il
settore immobiliare o verso il rischio “sovrano”, scarsa
capitalizzazione) e sono costrette a ricorre alla banca
centrale. Sul secondo fronte, i governi di tre
paesi (Grecia, Irlanda, Portogallo) hanno dovuto
ricorrere all’aiuto dei partner europei e dell'Fmi, non
essendo più in grado di finanziarsi sul mercato a tassi
sostenibili nel tempo. Nelle fasi che hanno condotto
alla definizione degli aiuti, la Bce è stata costretta a
sostenere i sistemi bancari e il mercato del debito
pubblico di quei paesi. I problemi di quei tre paesi
sono tutt’altro che risolti, e potrebbero allargarsi a
altri (Spagna e Italia). Tutto questo pone la Bce in una
posizione molto difficile, in cui l’autonomia
della politica monetaria è messa in pericolo. La banca
ha spesso reso noto il proprio disagio, avvertendo che
tutti sono chiamati a fare la loro parte: non si può
contare all’infinito sulla accondiscendenza della banca
centrale.
Finché l’inflazione non destava preoccupazioni,
la Bce si era limitata agli avvertimenti verbali. Ma
quando il prezzo del petrolio e delle altre materie
prime, comprese quelle alimentari, aumenta e il tasso
d’inflazione si porta al 2,6 per cento (sopra
l’obiettivo del 2 per cento), si passa dalle parole ai
fatti. Peraltro i fatti sono appena cominciati, non solo
perché all’aumento del tasso d’interesse della scorsa
settimana ne seguiranno probabilmente altri nel corso di
quest’anno. Ma soprattutto perché l’aumento dei tassi
d’interesse dovrà essere accompagnato dal ritorno al
controllo della moneta. Affinché un aumento del tasso di
policy sia effettivo, occorre che sia
accompagnato da una restrizione dell’offerta di riserve
bancarie. Ma per fare ciò, la Bce dovrà ritornare al
metodo tradizionale di condurre le operazioni di
politica monetaria: asta con quantità di prestiti
predeterminata. (2)
Banche e governi sono quindi avvertiti: la “stampella
monetaria” sta per finire. Verrà il momento in cui le
banche non potranno più ottenere prestiti in quantità
illimitata dalla Bce. (3) Dovranno quindi mettere
ordine nei loro bilanci e raggiungere un livello di
capitalizzazione adeguata per accedere ai mercati
finanziari. I governi devono avviare percorsi di
aggiustamento delle finanze pubbliche credibili e che
ripristino la sostenibilità del debito pubblico
nel lungo periodo. Nel frattempo, la crisi del debito
sovrano di alcuni paesi va gestita con interventi
tempestivi dei fondi di stabilizzazione previsti
(Efsf e Esm). Se la dimensione o le modalità
d’intervento di questi fondi si rivelerà insufficiente,
bisognerà integrarli o renderli più flessibili; ad
esempio, prevedendo che possano acquistare titoli
pubblici sul mercato secondario.
(1)Un
particolare curioso per chi ama le technicalities:
i depositi presso la Bce, frutto delle operazioni di
sterilizzazione, possono essere usati come collaterale
per ottenere prestiti dalla Bce stessa. Quindi una banca
può finanziare il deposito con un prestito dalla Bce,
senza avere neppure bisogno di reperire il collaterale.
(2) Non a caso, la seconda frase del
comunicato di
giovedì scorso sottolinea la natura temporanea
delle misure non-standard di politica monetaria, tra le
quali le operazioni “a rubinetto”.
(3) In realtà potranno ancora averli, ma a tassi
molto penalizzanti (e purché abbiano il collaterale). Il
rifinanziamento marginale comporta attualmente una
penalizzazione di 75 punti base, che potrebbero tornare
a 100 se il “corridoio dei tassi” tornasse ad avere
l’ampiezza che aveva prima della crisi finanziaria.
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