SOMMARIO: 1)
Premessa; 2) L’assegno periodico; 3) L’assegno una
tantum; 4) Considerazioni conclusive.
1) Premessa.
Con il divorzio – o
cessazione degli effetti civili del matrimonio – il
rapporto matrimoniale termina, ossia si scioglie il
matrimonio “civile” o cessano gli effetti del matrimonio
concordatario.
In realtà il
divorzio non comporta, almeno nel nostro ordinamento,
un’estinzione assoluta di tutti gli effetti del
matrimonio: infatti, non soltanto sopravvivono alcuni
effetti propri dell’istituto, quali la tutela
previdenziale ed alcuni diritti successori del coniuge
superstite, ma il divorzio fa sorgere delle situazioni
giuridiche nuove, tra cui la più importante è l’assegno
divorzile.
Tale figura ricopre
un ruolo preminente nell’ambito della normativa in
materia di separazione e divorzio, poiché volta a
regolamentare i rapporti economici tra gli ex coniugi, e
pertanto è stata oggetto di numerosi interventi
dottrinali e giurisprudenziali, resi necessari anche
dalla complessa disciplina dettata dal legislatore.
La fattispecie
dell’assegno è prevista dall’art. 5 L. 898/70,
disposizione normativa che ha subito numerose modifiche,
che ne hanno alterato la natura stessa ed i presupposti
per la sua concessione.
In particolare, con
l’art. 5, commi 6 e 8, L. 898/70, il legislatore ha
previsto due ipotesi di assegno: il Giudice, infatti, in
sede di sentenza di divorzio, può disporre l’obbligo
della corresponsione di un assegno periodico ovvero, in
caso di accordo delle parti, la corresponsione di un
assegno una tantum, normativizzando un’ipotesi di
liquidazione cumulativa delle spettanze dovute a titolo
di assegno divorzile.
La previsione di
due distinte figure di assegno ha suscitato un vivace
dibattito in sede dottrinaria e giurisprudenziale, volto
ad evidenziare le peculiari caratteristiche delle due
figure.
La possibilità di
disciplinare gli interessi economico-patrimoniali
conseguenti allo scioglimento del matrimonio nell’una o
nell’altra forma ha, infatti, riflessi sul piano
fiscale, in quanto in ragione della forma di
regolamentazione prescelta l’assegno assume natura
reddituale e, conseguentemente, diventa fiscalmente
rilevante l’onere supportato dal coniuge che lo eroga .
Per ragioni
sistematiche e per meglio comprendere le notevoli
differenze tra le due figure, si ritiene opportuno
esaminare separatamente la figura dell’assegno periodico
rispetto all’assegno una tantum.
2) L’assegno
periodico.
Dall’interpretazione letterale della formulazione
originaria dell’art. 5, comma 4, L. 898/70, la dottrina
osservava come l’assegno divorzile avesse natura mista:
i presupposti per l’erogazione consistevano, infatti,
nelle condizioni economiche dei coniugi, nelle ragioni
della decisione e/o nel contributo personale ed
economico dei coniugi alla formazione del patrimonio di
entrambi .
In particolare, le
condizioni economiche facevano riferimento alla natura
assistenziale dell’assegno (con funzione analoga
all’assegno alimentare, seppur di ammontare superiore),
le ragioni della decisione sottolineavano una funzione
risarcitoria o magari sanzionatoria, mentre il
riferimento al contributo di ciascun coniuge alla
formazione del patrimonio familiare e di entrambi
richiamava una funzione compensativa, paragonando i due
coniugi a due imprenditori che dovessero regolare tra
loro i reciproci rapporti di dare e avere .
Il legislatore è
intervenuto, con la L. 74/1987, a modificare
parzialmente l’art. 5 L. 898/70, prevedendo quale unico
effettivo presupposto per la concessione dell’assegno la
circostanza che il coniuge richiedente non abbia mezzi
adeguati: la Suprema Corte, intervenuta sul punto, ha
affermato che l’assegno divorzile ha natura
esclusivamente assistenziale, dovendosi identificare il
parametro “insufficienza dei mezzi adeguati” nel tenore
di vita goduto in costanza di matrimonio .
Attestata la natura
assistenziale dell’assegno divorzile erogato
periodicamente, si devono esaminare brevemente le
problematiche fiscali relative a tale figura.
L’art. 10, comma 1,
lett. c), T.U.I.R. Prevede la deducibilità dal reddito
complessivo degli “assegni periodici corrisposti al
coniuge, ad esclusione di quelli destinati al
mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione
legale ed effettiva o annullamento del matrimonio o di
cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui
risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria…”.
Specularmente tali
assegni periodici costituiscono per il coniuge
percipiente redditi assimilati a quelli di lavoro
dipendente e si presumono percepiti, salvo prova
contraria – ai sensi del combinato disposto degli artt.
50, comma 1, lett. i) e 52, comma 1, lett. c), T.U.I.R.
– nella misura e nelle scadenze risultanti dai
rispettivi titoli .
La ratio di tale
scelta legislativa è da ricercarsi nella circostanza che
l’assegno sarebbe corrisposto con cadenza periodica e,
come tale, assimilabile al pagamento di una retribuzione
stabilita a tempo e potenzialmente vitalizia, ancorché
non collegata ad alcuna prestazione lavorativa .
L’assegno periodico
rientrerebbe pertanto nelle ipotesi di reddito
assimilato ex art. 50 T.U.I.R. E come tale concorre alla
formazione del reddito imponibile.
Così operando, il
legislatore ha dunque previsto che il solvens possa
dedurre dall’imponibile fiscale l’ammontare dell’assegno
periodico, mentre tale somma concorrerà alla
determinazione dell’imponibile fiscale per il
percipiente, su cui grava l’onere di indicare il quantum
nella dichiarazione dei redditi nella voce “redditi di
lavoro dipendente” e soddisfare le pretese erariali .
Tale regime,
tuttavia, è applicabile unicamente qualora la misura e
la periodicità dell’assegno siano indicati in sentenza;
inoltre, la somma erogata non è integralmente
deducibile, in quanto deve essere escluso l’importo
destinato al mantenimento dell’eventuale prole.
La sentenza di
cessazione degli effetti civili del matrimonio può,
infatti, prevedere il riconoscimento di due distinte
somme di denaro in favore dell’ex coniuge e del figlio:
in tale caso, ai sensi del combinato disposto degli
artt. 10, comma 1, lett. c) e 12 T.U.I.R., solo la somma
riconosciuta in favore dell’ex coniuge sarà deducibile,
mentre l’importo corrisposto al figlio non ha rilevanza
reddituale, in quanto assorbito dalla detrazione
prevista dalla norma .
Qualora, invece, la
somma indicata dal Giudice sia omnicomprensiva, secondo
l’art. 4 D.P.R. 42/88, “gli assegni corrisposti al
coniuge anche per il mantenimento dei figli si
considerano destinati al mantenimento di questi ultimi
per metà del loro ammontare”.
In tale caso,
pertanto, l’erogante potrà sempre dedurre la metà
dell’importo o diversa misura indicata in sentenza
indipendentemente dal numero di figli mantenuti con il
medesimo assegno .
Relativamente al
requisito della periodicità dell’assegno, è stato
osservato che il medesimo non risulterebbe integrato sia
in caso di riconoscimento, in favore dell’ex coniuge, di
un assegno una tantum, sia nella meno frequente ipotesi
in cui sia prevista, in sentenza, la corresponsione di
un importo complessivo, il cui versamento sia frazionato
in un numero predefinito di rate, qualora la
corresponsione del predetto importo escluda la
possibilità di presentare una successiva domanda avente
contenuto economico.
Infatti, la
possibile rateizzazione del pagamento costituisce solo
una diversa modalità di liquidazione dell’importo tra le
parti: l’assegno manterrebbe comunque la sua
caratteristica di fornire soluzione definitiva ad ogni
rapporto economico tra i coniugi – e come tale sarebbe
equiparato all’assegno una tantum –, diversamente
dall’assegno periodico, il cui ammontare è revisionabile
nel tempo e non preclude eventuali successive domande
aventi contenuto economico..
Attestata la natura
assistenziale dell’assegno, e la sua riconducibilità ai
redditi assimilati di cui all’art. 50 T.U.I.R., si deve
adesso analizzare la fattispecie dell’assegno sotto il
profilo previdenziale, ossia esaminare se il quantum
erogato debba essere assoggettato a contribuzione.
A tal proposito si
evidenzia come l’art. 6 D.Lgs. 314/97 ha dettato, in
materia previdenziale, una nuova definizione di reddito
da lavoro dipendente, che sostituisce le precedenti
definizioni.
In base alla nuova
disciplina, intesa ad armonizzare la materia
contributiva con la materia fiscale, costituiscono
redditi la lavoro dipendente, ai fini contributivi, le
tipologie ricomprese nell’art. 49, comma 1, T.U.I.R.,
maturate nel periodo di riferimento.
Il nuovo concetto
di imponibile contributivo supera lo stretto sinallagma
tra prestazione lavorativa e retribuzione, e coincide
sostanzialmente – anche se non identifica – con il
concetto di imponibile fiscale: pertanto, i redditi da
lavoro dipendente ex art. 49 T.U.I.R. Concorrono sia
alla formazione dell’imponibile fiscale, sia
dell’imponibile contributivo – salve le eccezioni
previste dall’art. 3 D.Lgs. 314/97 .
Nel caso in esame,
è stato osservato come l’assegno periodico concorra alla
formazione dell’imponibile fiscale, in quanto rientrante
tra i redditi assimilati ai sensi dell’art. 50 T.U.I.R.
Tuttavia, come
notato da parte della dottrina , il concetto di
imponibile contributivo è stato equiparato a quello
fiscale, ma dall’analisi letterale della norma appare
evidente come la volontà del legislatore fosse quella di
considerare tutti i redditi di cui all’art. 49 T.U.I.R.
Sia tassabili sia assoggettabili a contribuzione, mentre
nulla è stato disposto relativamente ai redditi di
lavoro assimilati, così prevedendo la possibilità che i
medesimi possano concorrere ai fini dell’imponibile
fiscale, ma non ai fini dell’imponibile contributivo.
L’assegno periodico
rientra tra i redditi assimilati ex art. 50 T.U.I.R., e
come tale concorre alla formazione dell’imponibile
fiscale per il percipiente, mentre tale somma erogata è
indifferente ai fini previdenziali, e non concorre alla
formazione dell’imponibile contributivo, in quanto i
redditi assoggettati a contribuzione sono unicamente i
redditi di lavoro dipendente, e non i diversi redditi
assimilati di cui all’art. 50 T.U.I.R.
Tale assunto è
stato confermato anche dall’INPS con propria circolare,
nella quale sosteneva che la qualificazione dell’assegno
divorzile come reddito assimilato impediva
l’applicazione dell’aliquota contributiva, in capo al
percipiente, su tale somma .
L’erogazione di un
assegno periodico, se non incide sotto il profilo
dell’imponibile contributivo, assume tuttavia rilevanza
giuridica in relazione al diritto alla pensione di
reversibilità riconosciuta nei confronti dell’ex
coniuge.
Deve, infatti,
osservarsi come, ai sensi del combinato disposto dagli
artt. 5 L. 263/05 e 9 L. 898/70, il coniuge superstite
ha diritto alla pensione di reversibilità qualora, al
momento del decesso dell’ex coniuge, fosse titolare di
assegno divorzile, titolarità da intendersi come
effettiva o in concreto, conseguente al riconoscimento
dell’assegno divorzile da parte del Giudice con la
sentenza di divorzio.
Pertanto, l’ex
coniuge divorziato titolare di assegno divorzile potrà
presentare domanda intesa ad ottenere tale trattamento
pensionistico allegando la sentenza da cui risulti
l’effettiva titolarità dell’assegno .
3) L’assegno una
tantum.
L’art. 5, comma 8,
L. 898/70 prevede, quale diversa forma di definizione
dei rapporti economici tra gli ex coniugi, la
possibilità per le parti di accordarsi sulla
corresponsione di un assegno una tantum, che pregiudica
la proposizione di successive domande a contenuto
economico .
Al Giudice spetta
unicamente la funzione di controllo di equità di quanto
pattuito autonomamente tra le parti, al fine di evitare
abusi in danno del coniuge più debole che, versando in
uno stato di bisogno, potrebbe accettare attribuzioni
una tantum inadeguate.
La fattispecie
dell’assegno in un’unica soluzione è stata
particolarmente esaminata e discussa sia in ambito
dottrinario sia in sede giurisprudenziale.
La ragione è da
ricercarsi nella circostanza che il legislatore ha
disciplinato compiutamente unicamente la diversa
fattispecie dell’assegno periodico, lasciando così un
vuoto normativo che l’interprete ha dovuto colmare .
In particolare, ci
si è a lungo interrogati se l’assegno in esame fosse da
equiparare, sotto il profilo funzionale, fiscale e
contributo, all’assegno periodico, ovvero se fosse da
applicare diversa disciplina.
A tale riguardo,
sono rinvenibili due distinte tesi dottrinarie e
giurisprudenziali.
Il primo
orientamento, minoritario, sostiene l’equiparazione
dell’assegno una tantum all’assegno periodico, con
chiari riflessi in ambito fiscale.
Si osserva,
infatti, che anche in tale ipotesi possa trovare
applicazione il combinato disposto di cui all’art. 10,
comma 1, lett. c) e 50, comma 1, lett. i), T.U.I.R.
Infatti, stante la
medesima finalità (assistenziale), titolo dell’obbligo
civilistico (la legge ed il provvedimento
giurisdizionale), prestazione (pagamento dell’assegno) e
natura tributaria (mera erogazione di reddito) dei due
diversi assegni divorzili , necessariamente si sarebbe
dovuta compiere un’interpretazione estensiva delle
citate disposizioni, e conseguentemente riconoscere la
deduzione in capo al soggetto erogante e la tassazione
in testa al percipiente.
Tale elaborazione è
stata sostenuta, in particolare, dai giudici di merito
tributari, che hanno evidenziato come l’obbligazione del
coniuge non muta natura se è adempiuta mediante la
corresponsione di assegni periodici ovvero in un’unica
soluzione , in quanto anche in quest’ultimo caso non si
verifica un trasferimento di capitali da un soggetto
all’altro, ma unicamente il pagamento in un’unica
soluzione di tutte le rate: pagamento che può essere
affrontato con l’erogazione di somme dal reddito del
contribuente e con incidenza su di esso .
L’esaminata tesi
rileva come la circostanza che l’art. 10 T.U.I.R. Si
riferisca alla sola fattispecie dell’assegno periodico
sia semplicemente indice della volontà legislativa di
disciplinare la forma più frequente di adempimento
dell’obbligazione, senza però precludere la deduzione
dell’altra forma: stante l’equipollenza sotto il profilo
economico e giuridico, l’assegno in un’unica soluzione
deve essere assoggettato al medesimo trattamento fiscale
.
L’unica differenza
tra i due istituti consisterebbe, infatti, nella facoltà
di scelta della forma o modalità di adempimento
dell’obbligo, ma questo elemento non sarebbe tale da
incidere né sull’identità dei due istituti civilistici,
né sull’uguaglianza della natura tributaria della
prestazione.
Anche il requisito
dell’occasionalità, caratterizzante la fattispecie in
esame, non pregiudicherebbe la qualificazione
dell’attribuzione come reddito, in quanto l’elemento
della periodicità non integra la nozione di reddito,
come dimostrato dalla tassabilità di attribuzioni una
tantum (quali, ad es., le plusvalenze e le
sopravvenienze, il trattamento di fine rapporto, etc.),
con la conseguenza che costituiscono presupposto di
imposta sia i redditi continuativi che quelli
occasionali .
Le due tipologie di
assegno sarebbero pertanto da equipararsi sotto il
profilo fiscale: anche il quantum dell’assegno una
tantum dovrebbe costituire, dunque, onere deducibile per
il coniuge erogante e concorrere alla formazione
dell’imponile fiscale quale reddito di lavoro dipendente
per il soggetto percipiente.
Si rappresenta,
inoltre, come la mancata equiparazione, sotto il profilo
fiscale, delle due diverse tipologie di assegno
determinerebbe una chiara violazione dell’art. 3 Cost.,
in quanto situazioni aventi presupposti e
caratteristiche uguali sarebbero disciplinate in modo
difforme, contrastando così con il principio di parità
di trattamento.
In ultimo, la
teoria in esame evidenzia come – anche qualora si
ritenesse che la diversa modalità di corresponsione
modifica la natura della fattispecie – non si potrebbe
comunque negare all’assegno una tantum la natura di
provento sostitutivo di un reddito, e pertanto rientrare
nella previsione dell’art. 6, comma 2, D.P.R. 597/73
(ora D.P.R. 917/86), a mente del quale “i proventi
conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto
di cessione dei relativi crediti…costituiscono redditi
della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti”.
L’assegno una
tantum costituirebbe provento sostitutivo di un reddito,
e come tale tassabile in capo al percipiente e
considerato come onere deducibile per l’erogante .
Tale tesi è stata
sottoposta a numerose considerazioni critiche.
Diversa
elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale è giunta
alla conclusione dell’indeducibilità dell’assegno
divorzile e conseguentemente l’intassabilità della somma
versata una tantum in capo al percettore.
Si è, infatti,
affermato come tale corresponsione definisca i rapporti
economici tra gli ex coniugi, realizzando una dazione a
carattere patrimoniale e producendo l’effetto di rendere
immodificabili successivamente le condizioni pattuite.
Le due fattispecie
avrebbero diversa natura atteso che l’ammontare
dell’assegno periodico sarebbe stabilito sulla base
della situazione esistente al momento della pronuncia e
potrebbe essere successivamente modificato, mentre
l’assegno una tantum definisce stabilmente i rapporti
tra gli ex coniugi con un’attribuzione di natura
patrimoniale, senza possibilità di successiva revisione.
Sotto il profilo
civilistico, l’assegno in un’unica soluzione
costituirebbe ipotesi di novazione oggettiva del debito
avente natura patrimoniale ovvero risarcitoria piuttosto
che di reddito: la corresponsione di tale assegno
sarebbe priva di un collegamento tra il frutto e la
fonte di produzione, e la sua occasionalità
implicherebbe la natura patrimoniale .
Alla luce di tali
considerazioni, si ritiene che l’assegno una tantum
assolva ad una funzione risarcitoria, così
differenziandosi dalla funzione assistenziale propria
dell’assegno periodico, giustificando così un diverso
trattamento sotto il profilo fiscale.
Inoltre, è stato
eccepito come la riconduzione, mediante interpretazione
estensiva della norma, dell’assegno una tantum nel
novero dei redditi tassabili contrasti con il principio
costituzionale della riserva di legge ex art. 23 Cost.
L’equiparazione
dell’assegno in un’unica soluzione ad un reddito
assimilato ai sensi dell’art. 50 T.U.I.R., infatti,
comporterebbe imposizione di una nuova prestazione
patrimoniale a carico del percipiente: tale aggravio può
essere previsto solo mediante disposizione legislativa,
e non mediante interpretazione estensiva della norma .
Al fine di evitare
salti di imposta, la qualificazione dell’assegno quale
reddito tassabile comporterebbe anche l’integrazione
dell’art. 10 T.U.I.R.: le determinazioni circa la
deducibilità dal reddito complessivo degli oneri
sostenuti sono di esclusiva competenza del legislatore,
e tale compito non può essere realizzato
dall’interprete.
Ad ulteriore
sostegno di tale affermazione, si è evidenziato come, a
seguito delle modifiche apportate dal nuovo testo unico
al vecchio testo del D.P.R. 597/73, sono state abrogate
tutte le norme di chiusura e residuali sulla base delle
quali, ante riforma, era possibile ricondurre nel
concetto di redditi imponibile anche proventi non
espressamente e analiticamente indicati dal legislatore.
Gli esaminati
enunciati normativi del T.U.I.R. Sono, dunque,
previsioni di stretta interpretazione, non possono
essere integrati dall’interprete e sono frutto di una
scelta consapevole, anche se implicita, da parte del
legislatore, che, così operando, ha voluto chiaramente
escludere la qualificazione reddituale dell’assegno
erogato in un’unica soluzione, attribuendogli natura di
trasferimento patrimoniale, escludendo la tassabilità
del medesimo.
Tale tesi è stata
vieppiù ribadita dalla Corte Costituzionale, chiamata a
pronunciarsi in relazione alla legittimità
costituzionale dell’esaminato art. 10 T.U.I.R. Con
riferimento all’istituto dell’assegno divorzile.
Con l’ordinanza n.
383/01 , il Giudice della Carta, dichiarando la
manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale, ha assunto come la deducibilità degli
oneri dal reddito complessivo del contribuente non è
generale e illimitata, ma circoscritta a quegli oneri
specificatamente ed espressamente individuati dal
legislatore, nell’ambito di una valutazione
discrezionale che deve tenere conto del necessario
collegamento con la produzione del reddito, con il
gettito generale dei tributi e con l’esigenza di evitare
evasioni di imposta, ed avente unico limite nel generale
principio di ragionevolezza.
La Corte
evidenziava, in tale sede, come le due forme di
adempimento, pur rispondendo alla medesima funzione di
regolare i rapporti economici derivanti dalla cessazione
degli effetti civili del matrimonio, appaiono diversi
sotto molteplici profili, in primis la natura
dell’assegno, e tali differenze sono state considerate
dal legislatore, il quale ha dettato discipline diverse
tenuto conto delle caratteristiche proprie delle
esaminate fattispecie.
Anche la sostenuta
violazione dell’art. 53 Cost. Sarebbe insussistente,
poiché, afferma la Corte, la lesione del principio della
capacità contributiva potrebbe configurarsi proprio ove
si ammettesse la deducibilità della somma corrisposta
una tantum, conseguenza di un assetto complessivo degli
interessi personali, familiari e patrimoniali dei
coniugi, non direttamente correlata al reddito percepito
dal contribuente nel periodo di imposta .
La giurisprudenza
prevalente ha recepito tale insegnamento, evidenziando
come, contrariamente a quanto sostenuto dalle
Commissioni Tributarie, il quadro normativo testimonia
la volontà del legislatore di riservare la
qualificazione reddituale unicamente all’assegno
divorzile, ma non a quello una tantum: il diverso regime
non sarebbe limitato all’ambito tributario, dovendosi
riconoscere peculiarità proprie alle due ipotesi anche
in ambito civile.
L’assegno
periodico, infatti, è soggetto alla clausola rebus sic
stantibus, ed attribuisce all’ex coniuge anche il
diritto a percepire una percentuale della liquidazione
spettante all’altro coniuge al momento della cessazione
del rapporto di lavoro, mentre la seconda fattispecie è
espressione della volontà delle parti – anche se
sottoposta a verifica giudiziale – di risolvere
definitivamente i rapporti patrimoniali, escludendo
conseguentemente in capo al beneficiario la
sopravvivenza di qualsiasi altro ulteriore diritto.
In conclusione,
tale elaborazione maggioritaria, sottolineando i profili
peculiari delle due fattispecie, ritiene l’assegno una
tantum, sotto il profilo fiscale, attribuzione di natura
patrimoniale o risarcitoria, come tale non tassabile in
capo al percipiente e non rientrante, stante il
carattere tassativo della disposizione normativa, tra
gli oneri deducibili per il solvens.
Ne consegue che,
dal punto di vista previdenziale, l’assegno una tantum,
non costituendo reddito, non concorre neanche alla
formazione dell’imponibile contributivo.
Inoltre, la
corresponsione dell’assegno in un’unica soluzione
esclude il diritto del coniuge divorziato ad ottenere il
trattamento pensionistico di reversibilità: in tale
situazione, infatti, viene meno il legame patrimoniale
tra il de cuius e il coniuge divorziato superstite .
4) Considerazioni
conclusive.
La regolamentazione
dei rapporti economici tra gli ex coniugi assume
particolare rilievo nell’odierna società, stante la
crescita esponenziale dello numero di separazioni e
divorzi, e tale realtà è nota al legislatore, che ha
disciplinato la materia, anche se in modo frammentato ed
incompleto.
Dall’analisi svolta
emerge come le due diverse tipologie di assegno
presentano caratteri comuni ed elementi che le
differenziano.
Le diverse teorie
dottrinarie e giurisprudenziali esaminate giungono a
soluzioni diametralmente opposte a seconda che ritengano
prevalenti i caratteri comuni tra le due fattispecie
ovvero che facciano risaltare gli elementi di
differenziazione.
Sarebbe
auspicabile, pertanto, alla luce non solo dell’art. 3
Cost., ma soprattutto del principio di chiarezza e
trasparenza ex art. 2 Statuto dei contribuenti, un
intervento legislativo, che disciplini compiutamente la
fattispecie dell’assegno una tantum, individuando sia il
trattamento fiscale sia quello previdenziale da
applicare.
L’intervento
legislativo, dunque, quale definizione del contrasto
esistente, nascente da una lacuna normativa, mentre il
contribuente potrebbe finalmente avere un chiaro
riferimento normativo in relazione al regime fiscale
applicabile al sempre più diffuso istituto dell’assegno
divorzile.
Note
1) Sul punto,
Agenzia delle Entrate, risoluzione 11 giugno 2009, n.
159/E.
2) La norma era
strutturata nel senso che la sussistenza di uno solo di
tali presupposti consentiva al Giudice di concedere il
diritto all’assegno ad un coniuge, a carico dell’altro.
3) Cfr. A. Salvati,
Sul trattamento fiscale dell’assegno divorzile
corrisposto una tantum, in Famiglia e Diritto, 2003, 4,
pag. 355.
4) Sul punto, Cass.
Civ. SS. UU, 29 novembre 1990, n. 11490; Cass. Civ.,
Sez. I, 26 settembre 2007, n. 20204; Cass. Civ., Sez. I,
6 ottobre 2005, n. 19446, Corte Appello Roma, 8 luglio
2009. In dottrina si segnala F. Totaro, La crisi della
famiglia, in Tratt. Zatti, II, Gli effetti del divorzio,
Milano, 2002, pag. 1233 ss. Si sottolinea come si
riscontri in giurisprudenza e in dottrina anche un
orientamento contrario, secondo il quale anche post
riforma del 1987 l’assegno avrebbe mantenuto natura
composita: Cass. Civ., Sez. IX, 17 aprile 1991, n. 4098;
Trib. Parma, 12 novembre 1998; E. Quadri, Divorzio nel
diritto civile e internazionale, in Noviss. Dig. It,
App. II, Torino, pag. 537.
5) Ai fini della
deducibilità dell’assegno, non assume alcun rilievo la
circostanza che il percipiente abbia dichiarato il
reddito: Comm. Trib. Centr., Sez. XII, 5 gennaio 1998,
n. 19. Parallelamente, non è necessaria, ai fini del
presupposto di imposta, l’avvenuta deduzione da parte
dell’erogante: Comm. Trib. Centr., Sez. XXII, 14 gennaio
1994, n. 150.
6) Agenzia Entrate,
Risoluzione 11 giugno 2009, n. 153/E. Per una disamina
più approfondita delle argomentazioni addotte
dall’Amministrazione a sostegno del proprio assunto, si
rinvia a F. R. Fantetti, L’una tantum al coniuge non è
deducibile, in Fam. Per. Succ., 2009, 10, pag. 817 ss.
7) La dottrina si è
a lungo interrogata se tale regime trovi applicazione
anche nell’ipotesi in cui non vi sia una materiale
erogazione da parte dell’obbligato. Il caso maggiormente
dibattuto concerne la circostanza che un coniuge abbia
versato periodicamente un assegno dall’ammontare
superiore a quanto statuito, domandando successivamente
la restituzione della somma eccedente. L’Agenzia delle
Entrate, intervenuta con una propria risoluzione in un
caso simile, ha evidenziato come la compensazione
intervenuta tra le due somme di denaro non pregiudica la
configurabilità della situazione disciplinata dall’art.
10 T.U.I.R., secondo cui gli assegni periodici sono
deducibili nella misura in cui risultino dal
provvedimento dell’autorità giudiziaria e siano
sostenuti dal contribuente, anche se con il meccanismo
della compensazione. Conseguentemente, tale somma
compensata, anche se non materialmente percepita, dovrà
essere assoggettata ad IRPEF da parte dell’ex coniuge,
quale reddito da lavoro dipendente ex art. 50, ccomma 1,
lett. i), T.U.I.R, dovendosi ritenere realizzata
comunque la percezione per effetto dell’intervenuta
compensazione. Sul punto, Agenzia delle Entrate,
Risoluzione del 15 giugno 2009, n. 157/E.
8) Nell’ipotesi in
cui l’importo dell’assegno sia riferito soltanto al
mantenimento del figlio non potrà essere dedotto dal
reddito ex art. 3 T.U.I.R. Sulla legittimità
costituzionale di tale disposizione normativa, si rinvia
a Corte Costituzionale, sentenza, 14 novembre 2008, n.
373.
9) Cass. Civ., Sez.
V, 14 maggio 2008, n. 12058. In dottrina si segnala S.
Mogorovich, Risoluzione n. 153/E dell’11 giugno 2009 e
157/E del 15 giugno 2009 – Il risvolto fiscale
dell’assegno alimentare al coniuge separato, in Fisco,
2009, 32, pag. 5253.
10) Agenzia delle
Entrate, Circolare del 12 giugno 2002, n. 50/E; Agenzia
delle Entrate, Risoluzione del 11 giugno 2009, n. 153/E.
11) L’art. 9 D.Lgs.
314/97 prevede l’espressa abrogazione di tutte le
disposizioni legislative concernenti la determinazione
dei redditi di lavoro dipendente diverse da quelle
previste nel T.U.I.R.
12) L. Galantino,
Manuale di diritto del lavoro, Giappichelli, 2006, pag.
120 ss; AA.VV., Agenda ANIV 2010, punto 2.1.
13) Circolare INPS,
24 dicembre 1997, n. 263.
14) Sul punto,
Messaggio INPS, 25 gennaio 2006, n. 2504; Messaggio
INPS, 15 luglio 2009, n. 16106.
15) La
corresponsione dell’assegno una tantum può attuarsi,
oltre che con il versamento di una somma di denaro,
anche tramite il trasferimento della proprietà o altro
diritto reale di godimento su beni immobili. In tal
caso, si ritiene che si tratti di un’attribuzione
patrimoniale non avente rilevanza reddituale per il
coniuge beneficiario, né natura di onere deducibile per
il coniuge obbligato. Cfr., A. Querci, L’assegno di
divorzio una tantum: natura giuridica e deducibilità ai
fini IRPEF, in Dir. e Prat. Trib., 2007, 6, pag. 1167
ss. In giurisprudenza, Trib. Verona, 16 novembre 1987.
16) Infatti, non vi
è alcun riferimento alla fattispecie dell’assegno una
tantum sia nel D.P.R. 597/73 sia nel T.U.I.R.: la
fattispecie, infatti, non viene espressamente menzionata
tra gli oneri deducibili ex art. 10 T.U.I.R. , né tra i
redditi assimilati al reddito di lavoro dipendente da
sottoporre a tassazione ai sensi dell’art. 50 T.U.I.R.
17) Cass. Civ.,
Sez. trib., 18 settembre 2000, ord. n. 795.
18) “…Gli elementi
che individuano l’obbligazione sono il contenuto e la
causa, sicché ogni obbligazione si distingue per il
contenuto che ha in relazione ad una causa
determinata…Rispetto a tali elementi, la modalità di
adempimento è assolutamente irrilevante per la
determinazione e/o individuazione dell’obbligazione, non
incidendo in alcun modo né sulla causa (o titolo
giuridico) né tanto meno sul contenuto dell’obbligazione
(o prestazione – oggetto della stessa)…”. A. Salvati,
Conferme sull’indeducibilità dell’assegno divorzile
corrisposto una tantum, in Famiglia e Diritto, 2007, 4,
pag. 335.
19) In tal senso,
A. Querci, L’assegno di divorzio una tantum: natura
giuridica e deducibilità ai fini IRPEF, in Dir. e Prat.
Trib., 2007, 6, pag. 1167.
20) Comm. Trib. II
grado Terni, 7 gennaio 1983, n. 1309. In senso conforme,
Comm. Trib. Centr., 14 giugno 1983, n. 1307; Comm. Trib.
Centr., 7 gennaio 1988, n. 67; Comm. Trib. Centr., 28
febbraio 1997, n. 698; Comm. Trib. Centr., Sez. XI, 13
maggio 1992, n. 3478; Comm. Trib. Centr., 16 ottobre
1996, n. 5099.
21) In precedenza,
una teoria ormai da ritenersi sorpassata sosteneva
l’essenzialità della ripetibilità del reddito. Tale
elaborazione deve ritenersi superata dall’evoluzione
normativa, avendo il legislatore qualificato come
reddito anche attribuzioni aventi carattere occasionale.
Sul punto, E. Marello, Contributo allo studio
dell’imposizione patrimoniale, Milano, 2006.
22) Sul punto, S.
Golino, L’assegno divorzile una tantum costituisce
reddito tassabile ai fini IRPEF, in Fisco, 2000, 10,
pag. 2770.
23) Cass. Civ.,
Sez. I, 12 ottobre 1999, n. 11437. Sul punto anche,
Cass. Civ., Sez. V, 6 novembre 2006, n. 23659.
24) Parte della
dottrina ha osservato come la riserva di legge ex art.
23 Cost. vada circoscritta all’individuazione dei
presupposti e degli elementi fondanti il tributo al fine
di impedire l’integrazione delle fattispecie tassabili,
mentre l’art. 10 T.U.I.R. non è qualificabile come norma
di imposizione, ma solo regola relativa
all’individuazione degli oneri deducibili. Tuttavia,
anche in tale ipotesi non risulta possibile ricorrere
all’analogia in ragione del corretto uso di tale
interpretazione, la cui finalità dovrebbe essere quella
di scoprire una proposizione giuridica latente, posta
indirettamente dal legislatore, e non creare nuovo
diritto, dovendosi l’interprete arrestare di fronte alla
creazione di una norma sostanzialmente difforme. Tale
principio indurrebbe a ritenere che il dato letterale
della periodicità degli assegni qualifichi la
fattispecie in misura tale da non rendere estendibile il
trattamento tributario previsto dalla norma alla diversa
ipotesi dell’assegno una tantum. Sul punto, A. Salvati,
Sul trattamento fiscale dell’assegno corrisposto una
tantum, in Famiglia e Diritto, 2003, 4, pag. 355.
25) Corte
Costituzionale, ord., 6 dicembre 2001, n. 383.
26) Tali principi
sono stati ulteriormente ribaditi da Corte
Costituzionale, ord., 29 marzo 2007, n. 113.
In tale pronuncia,
la Corte dichiara nuovamente manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 10
T.U.I.R. per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost.,
reiterando le proprie osservazioni in relazione ai
caratteri distintivi tra le due forme di adempimento,
aventi connotazioni giuridiche e di fatto diverse, tali
da non rendere censurabile la scelta legislativa di
prevedere due diversi regimi fiscali.
27) Cass. Civ.,
Sez. V, 22 novembre 2002, n. 16462; Cass. Civ., Sez. V,
6 novembre 2006, n. 23659.
28) Messaggio INPS,
15 luglio 2009, n. 16106.
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