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La lettura dell’ultimo rapporto di Human Rights Watch sul razzismo in Italia “L’intolleranza quotidiana” è sconcertante (vedi sotto)

Sembra che non ci siano margini di dubbio nel rispondere alla domanda: siamo diventati razzisti?  Tuttavia ancora più inquietante è scoprire come e perchè questo razzismo strisciante stia crescendo, proprio in un Paese, il nostro, che ha visto milioni di suoi cittadini emigrare nei decenni. Del resto, l’emigrazione italiana verso l’estero non si è ancora esaurita, vista la costante fuga di giovani promettenti verso l’estero.

Probabilmente questa emorragia non farà che aumentare l’intolleranza per il facile ed errato ragionamento: “i nostri giovani migliori scappano e da noi arrivano solo indesiderabili”.

In realtà, la fuga delle persone dai loro luoghi di origine viene spesso provocata dall’incapacità del Paese di provenienza di soddisfare i bisogni della propria gente. Da un lato i migranti africani fuggono dalle guerre e dalla fame alla ricerca di un futuro migliore garantito magari dal ricongiungimento con dei loro famigliari già inseriti in Occidente; dall’altro lato i giovani italiani scappano alla ricerca delle opportunità che il nostro Paese non riesce (o non vuole?) garantire loro a causa della diffusa precarizzazione, della mancanza di prospettive, del blocco dell’ascensore sociale e così via.

In questa situazione il razzismo sembrerebbe essere la prima risposta, inaccettabile e totalmente evitabile, ma caratteristica di una realtà nazionale che non ha prospettive, nè idee di miglioramento.

Che ne pensate? Siamo alla fine di un’era (probabilmente quella più prospera mai vissuta dal nostro Stato) e quindi diventiamo razzisti? Davvero non c’è spazio per delle alternative?

L’intolleranza quotidiana

 

Sintesi

Negli ultimi anni, il razzismo e la xenofobia hanno generato una crescente violenza in Italia. Gli attachi da folle violenti ai Rom a Napoli nel maggio 2008 e ai lavoratori stagionali immigrati nel gennaio 2010 a Rosarno, una cittadina della Calabria, hanno provocato lo scalpore internazionale. A Milano nel settembre 2008 dopo un piccolo furto un barista uccide in strada a sprangate Abdoul Guiebre, un italiano originario del Burkina Faso; nel marzo 2009 due uomini in una piazza di Napoli aggrediscono Marco  Beyene, un italiano di origine eritrea al grido di negro di merda; e nel marzo 2010 un gruppo di 15-20 persone attacca dei bengalesi in un bar di loro proprietà a Roma, ferendone quattro e danneggiandone il locale.

Questi crimini motivati dall’odio razziale avvengono in un clima politico che porta a identificare immigrati e Rom e Sinti (molti dei quali sono cittadini italiani) con la criminalità e contribuisce a creare un clima di intolleranza, in un paese che ha visto un esponenziale aumento dell'immigrazione, in particolare negli ultimi dieci anni. Dal 2008, il governo di Silvio Berlusconi, in coalizione con la Lega Nord, partito apertamente anti-immigrazione, ha adottato decreti di “emergenza” per agevolare l’introduzione di misure forti tanto contro i migranti privi di documenti quanto contro i Rom e i Sinti; ha fatto approvare una legge creando il reato d’ingresso  e soggiorno irregolare in Italia; e ha tentato di imporre sanzioni più severe per i reati commessi dagli immigrati irregolari rispetto a quelli commessi dai cittadini e dai residenti legali. Il Presidente del Consiglio dei Ministri Berlusconi ha sostenuto nel gennaio 2010 che “una riduzione degli extracomunitari in Italia significa meno forze che vanno a ingrossare le schiere dei criminali.” Rappresentanti eletti in tutti gli schieramenti politici si sono spesi in retoriche anti-immigrati e anti-Rom.

Osservatori dei media e rappresentanti di ONG contro il razzismo sono sempre più preoccupati per la rappresentazione negativa degli immigrati e delle minoranze, compresi i Rom e i Sinti, nelle cronache dei media e per l'impatto di tale comunicazione sulla percezione pubblica di tali comunità. Da uno studio condotto dall’Università della Sapienza di Roma è emerso che in tutta la prima metà del 2008 solo 26 su 5.684 notizie date dalla televisione sugli immigrati non si sono riferite a questioni di criminalità o alla sicurezza - un dato statistico che Navi Pillay, l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, durante la sua visita all’Italia del marzo 2010 ha definito “sbalorditivo.” La televisione è la principale fonte di notizie per l’80 per cento della popolazione italiana.

Un razzismo crescente e pervasivo influenza ogni aspetto della vita, ha osservato Chiara (uno pseudonimo), una donna italiana abitante nel quartiere di Tor Bella Monaca di Roma, che nella routine quotidiana ha visto crescervi l'odio e strisciarvi sempre più la violenza. Chiara ha raccontato a Human Rights Watch che altre madri si lamentano con lei che qui “vedo solo negro, sono diventati tutti africani. C’è posto al nido per loro ma non per me.” Un giovane le ha detto: “I rumeni hanno il rubare nel loro DNA. Io lavoro con un rumeno, ma di notte siami nemici e se lo vedo, lo pesto.” Chiara stava parlando con una amica marocchina sull’autobus un giorno quando un altro passeggero l’ha sgridata così: “Se parla con loro, non se ne vanno più!” Un amico rumeno di Chiara ha comprato una bicicletta in modo da poter evitare gli insulti che regolarmente riceve sui mezzi pubblici. Ha detto che la guardia del supermercato di quartiere ha detto a sua figlia di starle vicina “perché c’erano gli zingari che rubano i bimbi.”

Il diritto internazionale dei diritti umani impone chiaramente agli Stati l’obbligo di adottare misure efficaci per prevenire la violenza razzista e xenofoba (il dovere di protezione), e di indagare energicamente per perseguirne i colpevoli (il dovere di fornirvi un rimedio efficace). Le autorità dovrebbero, inoltre, pubblicamente e inequivocabilmente condannare tali atti di violenza, al fine di ribadire che la violenza è inaccettabile, ed esprimere sostegno ai soggetti a rischio. Il dovere di protezione e il dovere di fornire un rimedio efficace vanno rispettati dagli Stati sia che gli autori delle violenze siano agenti dello Stato sia che siano privati cittadini.

Le autorità italiane non rispettano tali obblighi. In parte, ciò riflette una mancata identificazione della violenza razzista e xenofoba come un problema serio. Le autorità pubbliche tendono a minimizzare la portata della violenza razzista in Italia, chiamando questi crimini episodici e rari, ed è spesso ridotta al minimo o esclusa la dimensione razzista o xenofoba di eventi quali gli attacchi che hanno colpito gli immigrati stagionali provenienti dall'Africa sub-sahariana, le bande che colpiscono gli immigrati con estorsioni e percosse, e gli attacchi ai campi rom. Il Ministro dell’Interno italiano ha ripetutamente affermato che l'Italia non è un paese razzista e che la violenza razzista è fatta di “episodi ... che ... restano del tutto marginali e sono socialmente rifiutati.” Un rappresentante del Municipio di Tor Bella Monaca, quartiere di Roma, teatro di numerosi attacchi contro gli immigrati nel corso degli ultimi anni, ha raccontato a Human Rights Watch che questi incidenti “non sono di razzismo, ma piuttosto un problema di convivenza, di numeri.” L'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, un ente pubblico, solo dal settembre 2010 ha iniziato a monitorare gli episodi di violenza razzista.

Lo strumento più importante nel diritto penale italiano per combattere la violenza razzista e xenofoba – l’aumento fino alla metà delle sentenze per i responsabili di crimini aggravati dalla motivazione razzista – non si è dimostrato per ora all'altezza delle sue ambizioni. La formulazione restrittiva della legge, che parla di “finalità” razzista del crimine, piuttosto che di sua “motivazione,” e la sua incapacità di riconoscere esplicitamente la possibilità di motivazioni moltiple, ha dato luogo a interpretazioni ristrette da parte dei giudici e a una sua limitata applicabilità nella pratica. Crimini che possono avere avuto una motivazione discriminatoria spesso non sono registrati, indagati o perseguiti in quanto tali. Sebbene l'approccio dei giudici sembri essere in continua evoluzione, la ricerca di Human Rights Watch indica che la disposizione della circostanza aggravante venga utilizzata in modo efficace solo quando l’intento razzista sembri essere l'unica motivazione di un assalto, mentre la dimensione razzista di un reato è minimizzata o ignorata del tutto quando il colpevole, o colpevoli, presunti sembrino avere altri, ulteriori motivazioni.

Poiché la violenza razzista e xenofoba non è considerata un problema urgente, vi è una mancanza di formazione specialistica e sistematica su di essa del personale delle forze dell’ordine e dei pubblici ministeri. Sia il direttore dell’Istituto di formazione della Polizia di Stato che il capo di un importante sindacato dei funzionari di polizia hanno sottolineato che gli italiani non sono “per natura” razzisti e che in Italia la violenza razzista e xenofoba non è un problema statisticamente significativo. Gli agenti di polizia non ricevono una formazione specializzata per individuare e indagare la violenza razzista e xenofoba. Allo stesso modo, per i Pubblici ministeri non vi è alcun obbligo di aderire a programmi di formazione con specifico focus sull’approfondimento dei crimini con intenti discriminatori.

La raccolta sistematica di dati sulla violenza razzista e xenofoba, e sui crimini con motivazione di odio discriminatorio in generale, è fondamentale per analizzarne le tendenze e garantire una risposta adeguata. Eppure l'Italia ha solo di recente iniziato a raccogliere qualsiasi tipo di dati sui crimini ispirati dovuti all'odio discriminatorio, e solo parzialmente. Il Governo nazionale non pubblica statistiche sui questi crimini, anche se può rendere i dati disponibili dietro richiesta. Le autorità indicano il basso numero di denunce ufficiali e delle azioni penali per violenza aggravata dal razzismo per sostenere che tale violenza è rara, senza tenere in conto la sua sottostima e le mancanze delle forze dell'ordine e della magistratura nell’individuare correttamente tale violenza.

I migranti privi di documenti, compresi i Rom provenienti da altri paesi europei, si trovano in una posizione di particolare svantaggio quando si tratta di denunciare la violenza razzista e xenofoba. Sebbene esista una disposizione di legge che prevede la concessione a vittime di crimini un permesso speciale di soggiorno in Italia, si tratta di un potere discrezionale ed è poco conosciuta tra i migranti. Segnalare un delitto può altresì esporre i migranti privi di documenti al rischio di condanna ai sensi della legge che nel 2009 ha reso il soggiorno illegale in Italia un reato, poiché non vi è alcuna garanzia che, una volta ogni procedimento giudiziario sia terminato, non gli verrà ordinato di lasciare il Paese. Come un uomo del Sud-est asiatico ci ha dichiarato: “Noi siamo stranieri qui, è troppo pericoloso denunciare.”

Il Presidente del consiglio di ministri Berlusconi notoriamente ha affermato nel 2009 che l'Italia non deve diventare un paese multietnico. La realtà è che l'Italia è già un mosaico di etnie, nazionalità e origini nazionali, ed è probabile che la sua popolazione diventi ancora più diversificata negli anni a venire. Ci sono segnali preoccupanti che già ora la crescente diversità della società vi abbia portato una crescente intolleranza, con il ricorso alla violenza o all’espressione di sentimenti razzisti o xenofobi da parte di alcuni. Il Governo italiano deve intervenire subito per arrestare questa tendenza.

Sintesi delle raccomandazioni al Governo italiano

  • Condannare fino al più alto livello, e con coerenza, continuità e forza, la violenza razzista e xenofoba.
  • Riformare il Codice penale con l’integrazione nell’ articolo 61 della circostanza aggravante della motivazione dell'odio discriminatorio, assicurando che tale riforma riformuli il campo di applicazione dell’ aggravante per:
    • Riconoscere la possibilità di motivazioni miste, e permettere l'applicazione della circostanza aggravante nei casi in cui la violenza è stata commessa “in tutto o in parte” a causa di pregiudizio; ed
    • Espandere l'elenco delle caratteristiche protette, includendovi, come minimo, l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
  • Rendere obbligatoria la formazione del personale delle forze dell'ordine per individuare, investigare e rispondere ai crimini motivati, in tutto o in parte, da pregiudizi razziali, etnici, o xenofobi.
  • Rendere obbligatoria la formazione per i pubblici ministeri, sulla pertinente legislazione nazionale, in particolare sulla circostanza aggravante della motivazione razziale.
  • Rafforzare l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) per assicurarne la capacità di estendere a livello nazionale la propria visibilità e lavoro, in particolare quello sulla violenza razzista e xenofoba.

Metodologia

Questo rapporto è basato su una ricerca effettuata tra il dicembre 2009 e il dicembre 2010.  Le interviste di campo sono state condotte a Milano, Roma, Rosarno, Palermo, Catania, Firenze tra dicembre 2009 e luglio 2010. Una ricercatrice di Human Rights Watch che parla italiano ha condotto 29 interviste con persone che avevano vissuto o assistito a un attacco fisico imputabile in tutto o in parte a sentimenti razzisti o xenofobi, compresi migranti irregolari, lavoratori agricoli stagionali; cittadini italiani, residenti a lungo termine di origine straniera, e Rom e Sinti stranieri e italiani.

Alcune delle interviste sono state condotte in un misto di italiano inglese e francese, per facilitare l'intervistato. Quattro interviste sono state facilitate da interpreti forniti dagli stessi intervistati. La maggior parte delle interviste sono state condotte individualmente, anche se a volte altri erano presenti e, a volte, hanno partecipato (per esempio, l’avvocato dell'intervistato o un amico o un attivista di una ONG). L'identità di alcune delle persone che abbiamo intervistato è stata nascosta per proteggerne la riservatezza e minimizzare il rischio di conseguenze negative. Non sono state usate le testimonianze ottenute da tre vittime e da un testimone per le preoccupazioni verso una possibile identificazione.

Human Rights Watch ha parlato con 36 fra docenti universitari, avvocati e rappresentanti di ONG e associazioni. Abbiamo intervistato 19 funzionari di governo, fra i quali pubblici ministeri, personale delle forze dell'ordine, il direttore e un membro dello staff dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, il direttore e un membro del personale dell’Istituto di formazione della Polizia di Stato, il vice direttore e un membro del personale dell’Ufficio legislativo del Ministero della Giustizia, nonché rappresentanti delle amministrazioni locali di Milano, Roma, Rosarno. Abbiamo avuto un incontro “off-the-record” con il Ministero dell’Interno. Le nostre ripetute richieste di acquisire le statistiche del Ministero dell’Interno non hanno ricevuto alcuna risposta. La nostra richiesta di incontro con il Comandante della Polizia Municipale di Roma è stato negata, e la nostra richiesta di incontro alla Polizia Municipale di Milano non ha ricevuto alcuna risposta.

 

 

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